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Le miniere di Rovegno

Certe giornate iniziano con il profumo del bosco ancora bagnato e l’emozione di entrare in un pezzo di storia. Accompagnata da Alberto Campora, guida ambientale escursionista di Valtrebbia Exploring, sono partita dal centro di Rovegno per un’escursione tra natura e archeologia industriale. L’obiettivo? Scoprire le antiche miniere di Rovegno sul Monte Linajuolo, testimoni di un passato fatto di lavoro duro, sogni di ricchezza e sorprendenti meraviglie geologiche.

Nel bosco del Giarin verso le miniere di Rovegno

Dal centro del paese, ci siamo incamminati verso il bosco del Giarin, conosciuto anche come “bosco di Annibale”. La leggenda narra che il celebre condottiero cartaginese sia passato proprio da qui durante la sua traversata degli Appennini. Il sentiero si apre tra castagni, rocce ofiolitiche e muschi. Ma sotto i nostri piedi si nasconde un mondo ancora più antico. Il suolo e il sottosuolo di Rovegno sono di straordinario interesse geologico: affiorano rocce sedimentarie, diaspri, graniti, e resti del cosiddetto “grande mare Giurassico ligure-piemontese”.

Grazie al lento movimento della crosta terrestre, milioni di anni fa si formarono giacimenti metalliferi di ferro, rame, zinco, arsenico e persino oro. Quest’ultimo è stato effettivamente ritrovato nelle miniere di Rovegno, seppur in quantità minime.

La nostra esplorazione ci ha portato a scoprire quattro gallerie principali: Linajuolo, Sardegna, del Francese e Fundere.

La Miniera del Linajuolo

Tra i boschi del Giarin, in una zona ricca di storia e natura, si trova la Miniera del Linajuolo, una delle più importanti delle miniere di Rovegno. Dopo una camminata iniziale tra la luce filtrata dagli alberi e il silenzio del sottobosco, si raggiunge l’ingresso della miniera. Qui, il terreno parla da solo: le sue sfumature rugginose rivelano la forte presenza di ferro, e raccontano le trasformazioni avvenute nel tempo.

Il minerale più abbondante nelle miniere di Rovegno era la pirite, spesso accompagnata dalla calcopirite. La cosiddetta pirite marziale, ricca di rame, veniva impiegata nella produzione del bronzo. Con l’esposizione all’aria e all’umidità, il ferro contenuto nei solfuri si ossida e forma idrossidi, che tingono il suolo di tonalità rossastre e rugginose. I minatori chiamavano questo fenomeno “cappellaccio di alterazione” o “brucione.

L’ingresso della galleria si apre tra gli alberi. Non conosciamo con esattezza la data di inizio delle attività estrattive, ma nel XIX secolo, durante la ripresa delle ricerche minerarie, furono scoperti cunicoli scavati a mano. Erano così angusti e primitivi da far pensare a un utilizzo ben precedente, forse medievale o addirittura più antico.

In quest’area sorgevano le gallerie principali delle miniere di Rovegno: la Sadowa, la Provvidenza e la Linajuolo superiore, che dà il nome a tutto il complesso.

La galleria “Sardegna”

Proseguendo dal Linajuolo, il sentiero si snoda tra felci e castagni, fino a raggiungere un ingresso più piccolo e nascosto: la galleria Sardegna, scavata nel 1884.

Questo accesso, seminascosto dalla vegetazione, si apre nel bosco come un passaggio segreto. All’interno, la luce è quasi assente, l’aria è più fresca, immobile e densa di umidità. Basta affacciarsi per immaginare il lavoro incessante dei minatori, che per anni hanno sfidato il buio, il freddo, la roccia.

Basta affacciarsi per immaginare la fatica dei minatori che lavoravano instancabilmente nelle miniere di Rovegno, affrontando il buio, il freddo e la durezza della roccia. In questo luogo si consumò anche una tragedia: nel 1884, un crollo uccise il minatore Giovanni Battista Cappellini.  Il suo nome è ancora vivo nella memoria del paese: era lo zio di Antonio Cappellini, noto come “Tugnin del Rocco”.

La galleria “del Francese”

Tra tutte le miniere di Rovegno visitate durante l’escursione, quella che mi ha colpita di più è la galleria del Francese. È un semplice saggio minerario, lungo 27 metri e alto 1,90, interamente scavato a mano. Non ha diramazioni, ed è proprio questa linearità a renderlo affascinante. Ogni centimetro racconta la fatica di chi ha aperto la roccia con picconi e scalpelli, affrontando il buio e l’umidità con determinazione.

Devo ammettere che, soffrendo un po’ di claustrofobia, entrare in quello spazio così angusto non è stata una scelta immediata. Ma alla fine ho deciso di farlo, e ne è valsa la pena. Dentro, l’acqua copriva il fondo in più punti. Le pareti bagnate riflettevano la luce della torcia, creando un’atmosfera ovattata, come se il tempo si fosse fermato.

E poi, l’incontro più emozionante: un geotritone. Minuscolo e mimetizzato con le pareti rocciose, vive perfettamente in ambienti bui e umidi come questo. Osservarlo nel suo habitat naturale è stato un momento di pura meraviglia.

Le “Fundere”

La quarta e ultima tappa della nostra escursione alle miniere di Rovegno è stata la galleria delle Fundere, prima del rientro verso il borgo. Per raggiungerla, siamo passati anche dalla Colonia di Rovegno, per poi tornare nel bosco.

Oggi la galleria risulta chiusa, ma il suo ingresso tra le rocce ricoperte di muschio conserva un fascino scenografico. La vegetazione ha riconquistato ogni spazio, eppure quel varco oscuro nella terra continua a evocare mistero, come se celasse ancora storie dimenticate.

Scavata nel 1884, la galleria delle Fundere aveva una funzione speciale. Qui il minerale veniva lavorato direttamente sul posto, grazie a un mulino idraulico cilindrico alimentato dalle acque del fosso d’Arizzo. Accanto al mulino si trovava anche un piccolo opificio per la lavatura del materiale. Per l’epoca, rappresentava una modalità di lavorazione decisamente moderna.

Già allora si poneva attenzione all’ambiente: le acque utilizzate seguivano regole igieniche precise e venivano convogliate in canali appositi per evitare contaminazioni.

Le origini delle miniere di Rovegno

Oltre al fascino dei sentieri nel bosco e degli imbocchi tra le rocce, le miniere di Rovegno offrono una storia sorprendente, fatta di esplorazioni, investimenti, dispute e sogni industriali.

Il primo riferimento ufficiale alle miniere di Rovegno risale al 1600, quando risultavano di proprietà della famiglia Doria. Fu però nel XIX secolo che le attività estrattive ripresero su scala più ampia, grazie all’iniziativa di Carlo Semino e del sacerdote Giacomo Rossi. Entrambi ottennero i permessi per esplorare i terreni attorno al Monte Linajuolo.

Nel 1866, durante la terza guerra d’indipendenza, alcuni abitanti di Rovegno e Casanova vennero arruolati. In quegli stessi anni, il Comune, guidato da Giuseppe Carboni, introdusse nuovi regolamenti rurali e igienici, promosse ulteriori ricerche minerarie e coinvolse anche i proprietari privati della zona. Si aprì così un periodo di “febbre del rame”, con un’intensa attività estrattiva e numerose dispute legali per i permessi e il controllo del minerale estratto. Una dinamica che, pur su scala locale, ricordava le corse all’oro in Alaska o nel Far West.

La nascita della Società Issel e la fine delle attività estrattive nelle miniere di Rovegno

Nel 1882, le miniere di Rovegno entrarono nella loro fase più ambiziosa con la nascita della Società Issel e C. – Miniere di Monte Linajuolo. Il geologo e accademico Arturo Issel, insieme a imprenditori italiani e francesi, fondò la società. Issel, noto per i suoi studi sulla geologia e la preistoria della Liguria, fu il motore scientifico e culturale del progetto. Il piano prevedeva impianti, strumenti, tettoie, lavatoi, vagoni e lo sfruttamento del materiale già depositato nelle discariche.

Sotto la guida della Società Issel vennero attrezzate le principali gallerie delle miniere di Rovegno e furono assunti diversi operai. I direttori istruivano i lavoratori sulle tecniche di estrazione e sulle norme di sicurezza, seguendo la “Legge sulle miniere” del 1859.

Col passare del tempo, e con l’esaurimento dei filoni più ricchi, la società Issel abbandonò l’impresa. Nel 1900, la miniera fu messa all’asta: venne prima rilevata dall’ingegnere Attilio Daneri, per conto della Mining and Finance Corporation (compagnia anglo-italiana), poi, nel 1909, passò alla Granet Brown di Genova.

Nel frattempo, restava in funzione una sola galleria: Provvidenza, considerata la più promettente delle miniere di Rovegno. Ma nel 1911, una sacca d’acqua sotterranea sfondò le pareti della miniera e allagò l’intero complesso. L’incidente avvenne durante la pausa pranzo, evitando vittime, ma prosciugò le sorgenti della zona e alterò l’equilibrio idrico.

A seguito dell’allagamento, la società Granet Brown decise di chiudere le miniere di Rovegno. La cessazione ufficiale delle attività risale al dicembre 1912, con una comunicazione firmata da Attilio Daneri.

Un’esperienza da vivere

Questo cammino tra le miniere è stato più di un’escursione: è stato un viaggio nel tempo e nella memoria di Rovegno.
Grazie ad Alberto, che ha condiviso racconti, aneddoti e conoscenze geologiche, ogni galleria si è trasformata in una storia. Se ti piacciono i percorsi fuori dai sentieri battuti, dove la natura incontra la storia, questo itinerario fa per te.