Ogni primavera, tra aprile e giugno, i boschi, i prati e le radure della Val Trebbia si colorano di fiori straordinari. Tra questi, le protagoniste più sorprendenti e affascinanti sono senza dubbio loro: le orchidee selvatiche.
Fra aprile e maggio inizia la loro fioritura, che trasforma angoli nascosti della valle in piccoli giardini spontanei. Fin dall’antichità, in Occidente l’orchidea è stata associata a amore, passione e fertilità, mentre in Oriente è simbolo di purezza e innocenza. Una doppia anima che riflette la complessità e l’eleganza di questo fiore.
Origine e mistero di un fiore sacro
Il nome “orchidea” deriva dal greco órkhis, che significa “testicolo”, in riferimento alla forma dei suoi rizotuberi.
Già Teofrasto (371–286 a.C.) ne parlava per le sue presunte proprietà curative; Dioscoride la consigliava per la sterilità; e anche Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, le dedicava ampio spazio.
Nel Medioevo, le orchidee erano ritenute tra i più potenti afrodisiaci: non potevano mancare nei filtri d’amore, mescolate con erbe e spezie misteriose. Queste credenze, tra scienza e leggenda, ancora oggi ci fanno guardare a questi fiori con un senso di rispetto e meraviglia.
Il mito di Orchis
Secondo la leggenda, Orchis era un giovane bellissimo, nato dall’unione tra una ninfa e un satiro. Aveva ereditato la grazia della madre e l’impulsività del padre, e proprio per questo si lasciava spesso guidare da un carattere audace e passionale.
Durante una celebrazione in onore di Dioniso, si innamorò perdutamente di una sacerdotessa e, spinto dal desiderio, oltrepassò i limiti imposti dal sacro. Il dio, offeso dal sacrilegio, lo condannò a essere sbranato da belve feroci.
Ma gli altri dèi, mossi da compassione, decisero di trasformare i suoi resti in un fiore unico: l’orchidea. Un fiore bellissimo, ma con una radice che porta ancora il segno della sua colpa: due piccoli bulbi sotterranei, la cui forma ricorda le appendici maschili, simbolo della passione che lo aveva condotto alla rovina.
Orchidea maggiore (Orchis purpurea)
Tra la fine di aprile e maggio, la Orchidea maggiore, conosciuta anche come orchidea purpurea, è una delle prime a fiorire nei boschi della Val Trebbia. Alta anche fino a un metro, si riconosce per le infiorescenze a spiga compatta, dai colori che vanno dal bianco al porpora, e per i suoi fiori che sembrano piccole damigelle con cappellino e gonna larga. Non a caso, in inglese la chiamano “Lady Orchid”.
Facile da scorgere ai margini dei sentieri, è tra le più scenografiche, ma come tutte le orchidee selvatiche, è protetta e non va raccolta né toccata.
Orchis simia: l’orchidea scimmia
Sempre tra aprile e maggio, si può avere la fortuna di incontrare anche l’Orchis simia, detta anche orchidea scimmia. È diffusa in più punti della valle e prende il nome dalla strana forma del suo fiore, che ricorda la silhouette di una piccola scimmietta con braccia e gambe aperte.
Fiorisce in aree soleggiate, spesso in pendii erbosi o radure aperte, ed è una delle più curiose da osservare da vicino per la sua forma quasi “animata”.
Dactylorhiza sambucina: l’orchidea sambucina
Più rara e localizzata è la sambucina, che regala la sua fioritura nelle zone di alta quota come la Sella dei Generali e i rilievi vicini.
Fiorisce tra fine aprile e maggio e ha la particolarità di presentarsi in due varianti di colore: giallo intenso o rosso violaceo.
Il suo nome deriva dal profumo dei suoi fiori, che ricorda quello del sambuco. Cresce in prati freschi e in ambienti montani ben esposti, ed è un piccolo gioiello alpino, che vale la pena cercare con lo sguardo e con rispetto.
Anacamptis pyramidalis: l’orchidea piramidale
L’ultima a fiorire è l’orchidea piramidale, che annuncia l’arrivo dell’estate. Tra fine maggio e inizio giugno, colora di rosa e fucsia i campi vicino alla Pietra Parcellara, creando veri e propri tappeti fioriti.
Il nome deriva dalla forma a piramide della sua infiorescenza compatta. È una delle più riconoscibili e spettacolari, e compare in ambienti soleggiati, nei prati magri e calcarei. Un vero colpo d’occhio per chi cammina tra le colline della valle in questa stagione.
Rispetto e meraviglia
Come tutte le orchidee selvatiche, anche quelle della Val Trebbia sono specie protette e non possono essere raccolte in alcun modo. Non solo è vietato coglierle, ma è assolutamente inutile cercare di trapiantarle nel proprio giardino: le orchidee spontanee vivono in simbiosi con un microambiente preciso, fatto di terreno, luce, umidità e soprattutto di funghi micorrizici che si trovano nel suolo e con cui le piante stabiliscono un legame indispensabile per la loro sopravvivenza.
Senza questo equilibrio invisibile ma fondamentale, il fiore non può vivere altrove, e tentare di estrarre il rizotubero significa quasi sempre comprometterne la vita.
Il modo migliore per goderne è quindi semplice e rispettoso: osservarle da vicino, imparare a riconoscerle e, se vogliamo portarle con noi, farlo solo attraverso uno scatto fotografico. Lasciamole lì dove sono nate, libere di rifiorire, anno dopo anno, per sorprendere chi avrà voglia di guardare con occhi attenti.